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La voce di Hind Rajab: il cinema come testimonianza

  • Immagine del redattore: Bianca Agnelli
    Bianca Agnelli
  • 7 ott
  • Tempo di lettura: 3 min
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Non so voi, ma io adoro andare al cinema completamente impreparata.

Zero trailer, zero recensioni, zero “devi assolutamente vederlo, è stupendo”.

Voglio che il film mi sorprenda, mi scuota, mi faccia dubitare delle mie stesse emozioni. Voglio quel momento in cui ti siedi, le luci si spengono, e pensi: “Ok, portami dove vuoi.”


A volte incontro registi sconosciuti, volti mai visti, nomi che potrei facilmente scambiare per password Wi-Fi, eppure - eccolo lì - quel piccolo brivido di curiosità.

Perché conoscere qualcosa di nuovo, per me, è come scoprire una stanza segreta dentro una casa che credevi di conoscere a memoria.


Certo, ritrovarsi è bello. Ma perdersi… perdersi in una pellicola completamente estranea è qualcosa di più grande. È un atto di fiducia.

E il cinema, come la vita, è un atto di fiducia pieno di contraddizioni: gioia, dolore, caos, e quel filo sottilissimo che li tiene insieme.


È con questa consapevolezza che il 28 settembre mi sono recata al cinema. Qualche ora prima di entrare in sala, avevo già pianto. Perché quello che sono andata a vedere era un film che non conoscevo, ma che non potevo ignorare, e di cui a grandi linee sapevo la trama.

Perché Hind Rajab non è mai stata solo un personaggio: era una persona, una bambina di cinque anni, nata nel momento sbagliato, nel luogo sbagliato del pianeta Terra.


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C’è qualcosa di disarmante nel pensare a quanto il destino sia un fatto geografico.

Alcuni nascono in un quartiere con più caffetterie che ospedali, altri in un posto dove i carri armati sparano ai finestrini.

E noi, seduti sulle nostre comode poltrone rosse, proviamo a capire come tutto questo possa esistere nello stesso mondo.


La voce di Hind Rajab (The Voice of Hind Rajab) è diretto da Kaouther Ben Hania, la regista tunisina già candidata all’Oscar per L’uomo che vendette la sua pelle.

La sua mano è delicata e chirurgica allo stesso tempo - come se sapesse che raccontare la realtà è un atto di equilibrio tra dolore e dignità.


Il film ripercorre le ultime ore di Hind, una bambina palestinese intrappolata in un’auto dopo che la sua famiglia è stata colpita durante i bombardamenti a Gaza, il 29 gennaio 2024.

Gli operatori della Mezzaluna Rossa Palestinese riescono a mettersi in contatto con lei: la chiamata dura ore.

Sentiamo Hind parlare, piangere, chiedere aiuto, pregare.


Ben Hania ha deciso di non ricreare quella voce, ma di usare l’audio autentico della registrazione della telefonata.

Gli attori - tra cui Saja Kilani, Clara Khoury, Motaz Malhees e Amer Hlehel - non avevano ascoltato l’audio completo prima delle riprese: lo sentivano in cuffia, durante le scene, lasciando che il reale si infiltrasse nelle loro espressioni.

È una scelta che trasforma la recitazione in qualcosa di quasi medianico: non stanno interpretando, stanno ascoltando.


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E noi, di riflesso, ascoltiamo con loro.

Non vediamo la morte, ma la sentiamo respirare tra le pause.


Alla Mostra del Cinema di Venezia, la proiezione è stata seguita da ventiquattro minuti di applausi.

Ventiquattro. Minuti.

È un’eternità, anche per Venezia.

Ma nessuno riusciva ad alzarsi: sembrava che avessero tutti bisogno di restare lì, fermi, a condividere lo stesso nodo alla gola.

Come se applaudire fosse l’unico modo per dire non siamo sordi, Hind, ti abbiamo sentita.


Il film ha conquistato il Gran Premio della Giuria, ed è già candidato come miglior film internazionale agli Oscar 2026.

Dietro la produzione ci sono nomi come Brad Pitt, Rooney Mara, Alfonso Cuarón, Joaquin Phoenix e Jonathan Glazer - nomi che, in un certo senso, hanno deciso di prestare la loro voce a chi non ne ha più una.


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Hind Rajab è morta.

A Gaza, oggi, centinaia di migliaia di bambini stanno soffrendo, morendo, mentre il mondo guarda altrove.

La loro voce urla dentro le nostre coscienze, e il silenzio non è più accettabile. Il cinema ci ha mostrato una realtà crudele e ignorare questa sofferenza è complicità.

Se restiamo fermi, se scegliamo di non sentire, siamo parte della tragedia.

E ogni giorno, ogni scelta, ci ricorda che l’umanità non è un lusso: è una responsabilità.


Bianca curates and writes for The Olive Press, a space for reflections on cinema, culture, and landscape born within Il Giardino di Cristina.

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